| Accade contemporaneamente al sentimento di Renjii Akasuna.
Fugaci mosche tinteggiate di sfumature differenti balenano nella stanza vuota, colà ove solo il misterioso shinobi, noto come "colui che indossa una maschera", tende a celarsi. Sbrilluccicanti pulviscoli di sole si infrangono sulle coperte arruffate dopo una notte agitata, filtrano oltre i micro fori della tapparella sita poco più alla destra del giaciglio ove egli riposa, inerte.
Con un gesto accomodante scosta un lembo di coperta a nascondere un pettorale martoriato da esperimenti seriali, proprio lì dove l'effigie di un volto umano fa capolino con una smorfia corrucciata, quasi fosse un busto di marmo. Nè il freddo penetrante, nè il caldo cocente smuovono le membra dell'uomo -se di umanità può essere tacciato un essere simile- che resta immobile a contemplare l'intonaco pallido sopra la sua testa, rimembrando attimi di vita vissuta con intensità frenetica e mille altri ancora, trattasi di millesimi di secondo, persi e lasciati in fuga inesorabili come ore. Eppure non sembra figurare, tra nessuno di questi ultimi, un minimo istante di gioia, o amore, o arguzia, o brio. Solo il nulla, il più totale vuoto cosmico, tedio di vita, sembrano ammorbare ora il fantomatico shinobi leggendario, la cui storia sbiadisce pian piano come una chiazza bagnata esposta al Sole.
La mano sinistra accenna a muoversi, ma si ferma prima di raggiungere la fronte. Poggia con una leggera pressione all'altezza del cuore, ma il battito si perde nella pulsazione stessa del Globo.
E' la Terra stessa che si connette a Tobi e Tobi ad essa, in una simbiosi perfetta tra due corpi in armonia sinuosa; così in quella il sennin scorge la vita,
ed oltre la vita le esistenze degli uomini e le loro vite, così flebili da poter essere spezzate ad una sua minima imposizione. Scorge ombre di volti amici e nemici, scorge Kisuke ed Aizen, i suoi compagni. Scorge Odin e Kuroro Akasuna ed il Mukenin Immortale, figure di vivi, di morti e rinati. Contempla dall'alto la tomba dell'umanità ed un vortice di peccati e peccatori che si perdono nel cosmo infinito dell'Universo intero; egli è al centro della Galassia e attira tutto a sè verso il divino Occhio, come un polo da cui tutto dipende e che tutto può, supremo arbitro del Bene e del Male.
Nella stanza da miserabile, una donna bada a lui. Ne condivide lo sguardo, quel duplice bagliore, oltre che una natura indomita.
Va', se devi.
Non muove lo sguardo. Sa che la figura non è sola, che identiche a lei ce ne sono altre due, o tre, o dieci. Chi può stimarlo con esattezza? Conosce la sua fretta, la voglia di riprendersi ciò che le spetta. Comprende che non baderà più a lui, ormai più vicino che mai alla morte.
Un appuntamento fatidico, questo, che forse nell'illusione dell'eterno rimandare ha trascurato troppo a lungo, ma la cui data si fa adesso sempre più vicina, mentre tutti i fuochi man mano si uniscono in un grande ed unico incendio.
In quel sudicio appartamento egli non vede che il cosmo e gli astri alla dipendenza del suo volere, così come ha sempre visto, ma ora compare un qualcosa di inaspettato: l'Altro.
Solo ora Tobi comprende l'evenienza che, oltre al suo volere ultimo, vi sia questo Altro e nell'Altro risiedono le speranze e le voglie e gli istinti e gli impeti di tutti coloro che al Male rappresentato da Tobi si impongono con forza. Dunque, allontanato il pensiero che egli stesso possa rappresentare il Creatore del Mondo, poichè rappresentante di una mera corruzione pervasiva di esso, non resta che alla mente il pensiero assurdo ed incontrollabile dell'onniscienza dell'Altro, il quale del sennin stesso detta volere e azione.
E se nell'Altro fossero riposte le sorti del suo fato? Se tutto fosse tratteggiato in un disegno divino dettato da qualcuno -l'Altro- di estraneo a lui e capace di tagliarlo fuori dai giochi?
Dunque Tobi comprende tale possibilità e, per la prima volta dopo secoli, un brivido freddo gli percorre la spina dorsale vertebra per vertebra, facendolo godere di un orgasmo umano. |
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