| SCHEDA: MONDO NARAKA
Alcuni saggi dicevano che per l'uomo è impossibile raggiungere la condizione di divino, come entità capace di trascendere l'essenza stessa delle cose e raggiungere, tramite la contemplazione, la perfezione stessa. Una teoria propria di una cerchia ristretta di anziani, certo, ma pur sempre veritiera. Sulla faccia della Terra non si è infatti mai visto nessuno raggiungere un tale livello di forza spirituale, da potersi distaccare per intero dalla condizione "umana" per annoverarsi a quella di "trascendentale" e, dunque, divina. Nel momento stesso in cui la Kaguya si era palesata dinnanzi al giovane Uzumaki, ella sembrava quasi poter percepire l'istante in cui il terrore prese forma in lui. Un timore reverenziale, che chiunque avrebbe provato nei confronti di un ninja leggendario, come in quel caso l'Uchiha macchiata dall'onta di essere una mezzosangue. Alla Divina, dal canto suo, non erano sfuggiti numerosi dettagli, quali il terreno e le sue condizioni, che avrebbero lasciato sicuramente al rosso una via di fuga, volentieri concessa dalla donna, il cui solo scopo era quello di accertarsi delle intenzioni del suo sfidante. Quella, più molti altri dettagli, che per esperienza la Kaguya aveva accuratamente scrutato nel suo avversario, il quale probabilmente avrebbe presto conosciuto, aguzzando le sue abilità sensoriali. La Kaguya seguì con lo sguardo il movimento di Emiya, mentre l'estroflessione ossea tornava al suo posto ed il fumo iniziava ad avvolgerla. Un ghigno, prima di sparire, poi una eco persa a seguire il mukenin randagio anticipò l'arrivo di un attendibile attacco a sorpresa proveniente dalla nebbia. La Kaguya si era letteralmente diradata nell'ombra. Non sarò io, a inseguirti, sarà la foresta. Sussurrò, mentre le prime bombe esplodevano e non le solo bombe visibili in quell'istante, ma decine e decine di altre bombe a seguire, dando origine ad un fragore circolare, come un sasso che tonfa nelle acque calme di un lago e crea un rincorrersi di ondine. Così le bombe presero a detonare l'una dopo l'altra, in un riverbero a domino che divampava in un incendio di ingente gravezza, feroce, ad inseguire l'Uzumaki in assetto frontale. Un incendio che non inseguiva l'Uzumaki solo, ma anche la Kaguya già in fuga dall'essere coinvolta nella deflagrazione distante qualche centinaia di metri, saettante tra i rami, distante qualche km dallo sconosciuto, a lui parallela, tanto da poter essere notata dai suoi sensi. Compose una serie di sigilli, ora Emiya avrebbe notato innumerevoli altre Amaterasu, in fuga verso direzioni varie come impazzite, mentre la foresta collassava in un incendio divampante e molteplici corvi, pregni del chakra di Tobi, svolazzavano all'impazzata tra le fronde, alcuni addirittura travolti ed uccisi dalle fiamme dell'incendio oramai incontrollabile. Non affronterai me, Uzumaki, affronterai la foresta. Lo farai con me, o da me ti farai distrarre? Con la sua mossa diversiva, la Kaguya mirava a confondere le abilità sensitive di Emiya, per due motivi principali: verificare se egli detenesse davvero questo potere e, soprattutto, se avesse compreso che i reali pericoli sono in realtà quelli più prossimi. L'elefante nella stanza. Di fatto, per l'Uzumaki, in quel momento il caos sarebbe stata una percezione costante, in cui il chakra di Tobi e della Kaguya apparivano pervasivi, in un disordine in cui soltanto una mente zen avrebbe saputo porre ordine e regolarità. Un ninja non dotato di doti sensitive non avrebbe di certo mai potuto gestire una simile situazione, pertanto, qualsiasi mossa Emiya avesse compiuto, sarebbe stata per Amaterasu una conferma delle sue doti e -pertanto- avrebbe potuto interessarla. Raramente le divinità si degnano di guardare gli uomini: quando lo fanno cercano interesse, forse divertimento. In quel caso la Kaguya voleva conoscere il suo avversario, capire "di che pasta era fatto", senza mai effettivamente attaccarlo direttamente. Non era suo interesse, ma questo -naturalmente- l'Uzumaki non avrebbe potuto saperlo. Il test di Tobi era semplice, lo stesso riflesso in un pensiero dell'Uchiha impura. *Giovane shinobi, saprai mantenere la calma?* Avvicinarsi agli Dei: sin dall'alba dei tempi la stirpe umana ha sempre perseguito tale obiettivo; il mito del superuomo non nasce per caso, anzi ha le sue radici proprio nell'ideologia insita nell'uomo di poter superare ogni limite, varcare la soglia del cielo e spingersi ancora oltre, con sulle spalle delle ali possenti e instancabili. Un mito, questo, visto da molti come un male nell'uomo stesso insito, e spesso sbeffeggiato da numerosi miti e leggende. Si tramanda la storia di colui che volle sfidare i Kami rubando loro il fuoco, e da essi fu punito, o ancora di quell'altro che con delle ali di cera sulle spalle volle spingersi il più vicino possibile al Sole, finendo inesorabilmente per dissolvere il suo unico sostegno e dunque abbandonarsi alla morte. Queste concise favolette folcloristiche, che hanno come protagonisti gli stessi uomini, racchiudono dentro la loro struttura apparentemente semplice e infantile delle morali essenziali per la sopravvivenza di ogni individuo. Questo la Kaguya lo aveva incarnato e grazie alla volontà di Tobi addirittura superato, sin dal momento in cui aveva presentato un'illusione di sè, uno specchio riflesso, un fantoccio, agli occhi dell'Uzumaki, senza che questi potesse ancora notarlo. Sin dalla nascita i bambini sono educati a porsi dei limiti, poichè senza di essi risulterebbero troppo eccessivi nelle loro libertà, finendo per diventare degli individui senza briglie e convinti di poter compiere ogni impresa che passi loro in mente. Pura utopia, nel momento in cui ci si scontra con la vita, la quale come un uragano travolge l'essere e lo scaraventa qua e la, a mo di fiato maligno, privandolo di ogni avere e di ogni certezza, ma lasciando al suo interno un grande bagaglio di esperienza, derivata proprio da uno scontro così a muso duro. Si usa quindi dire che il sommo bene sia la virtù, e che conoscere le proprie capacità ed i propri limiti aiuti a vivere meglio, a non spingersi troppo oltre quella soglia sottile che chiamiamo "confine delle possibilità", superata la quale ci si ritrova in territorio nemico, completamente sguarniti e disarmati delle proprie certezze. Se ci si focalizza su tale visione è indubbio concepire l'uomo come una creatura della natura profondamente tormentata, esso viene al mondo con doti mentali prive di pari; capace di fantasticare, di prevedere le azioni dei propri simili, di creare situazioni nella mente, di essere concretamente, nell'idealismo, un essere potenzialmente perfetto. E' triste, dunque, il conoscere che una tale perfezione non sarà mai raggiunta, e che quindi l'uomo non può che restare alla sua unica e reale natura: quella di recipiente. Un recipiente di sogni, sangue e peccati! |
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