Il sopracciglio candido si alzò, mentre la figura di Zabuza rimase oggetto di uno sguardo molto lungo. Poteva non apprezzarlo, ma quando Shiro sentì che quel ragazzone era ancora un genin ne rimase sorpreso. Le opzioni erano due: aveva avuto uno sviluppo prematuro oppure era semplicemente in ritardo con le capacità ninja. In entrambi i casi però, non erano di sicuro affari suoi.
Lo divennero, infine, quando riconobbe la sua innata nelle mani di qualcuno che, a quanto pare, voleva davvero riuscire a padroneggiarla al meglio.
Mise le mani dietro la testa alzando appena le spalle.
«Niente da dire, continua pure con il tuo allenamento.» E sorrise, rimanendo fermo nella sua posizione.

Da quando era nato, erano rare le volte in cui aveva visto il sole. Perfino la sua capacità innata derivava dal freddo e duro ghiaccio e, per questo, quando si ritrovò all'interno della nebbia non sembrava essere turbato o a disagio. Ora devo concentrarmi pensò, mentre gli occhi erano chiusi. Non gli servivano, per questa volta. Erano altri i sensi che doveva imparare a sviluppare: l'udito, mentre percepiva dei passi avvicinarsi al campo dove lui si stava allenando. L'olfatto, l'odore pungente della neve che lenta attecchiva al suolo trasformando Kiri in un paesaggio bellissimo e monocromatico. Il tatto, sapeva esattamente dov'era e perché le piante dei piedi erano in quella posizione, ma doveva imparare a muoversi con leggerezza e senza fare rumore.
Un rumore ritmato sembrava volergli spaccare i timpani. Doveva essere un cuore, o così Shiro ipotizzò. Aprì gli occhi lasciando disperdere la nebbia creata poco prima, fin quando essa non si diradò del tutto osservando la figura che man mano andò a mettersi a fuoco sempre di più negli occhi dell'albino. Ciò che catturò per prima cosa l'attenzione del jonin non erano le bende o l'abbigliamento visibilmente leggero, ma l'arma che aveva in mano: era fatta di ghiaccio.
Squadrò per bene il moro, decisamente di molto più alto di lui e si avvicinò, non aveva niente di cui temere, infondo.
«Niente male» commentò con un piccolo cenno all'oggetto fra le sue mani. Poi sorrise, se ironico o meno non era dato saperlo. Aprì la mano e dal palmo ne uscì una riproduzione di una katana, ma di ghiaccio.
«A quanto pare siamo simili...» Ma non era il momento per fare i misteriosi, infondo lui era un Jonin e quello un probabile Genin o Chunin per cui semplicemente alzò la mano libera in segno di saluto. «Shiro Yuki. Jonin di Kirikagure no Sato»

L'inverno sta arrivando, disse qualcuno. Non che a Kiri fregasse qualcosa; d'altronde nella memoria di Shiro erano pochi i giorni in cui poteva osservare un pallido sole cercare di penetrare le spesse nubi che gli impedivano di baciare anche l'isola.
Quel giorno non era diverso dagli altri, se non fosse per qualche timido fiocco di neve che cadde a terra, sfiorando il naso all'insù dell'albino che per un attimo tornò piccolo, al focolare domestico che accendevano nelle notti più rigide. Con il passare del tempo, Shiro aveva plasmato la propria percezione di freddo e caldo, fino a quando entrambe le sensazioni non furono del tutto sotto controllo. Per questo, come tutti i giorni, si ritrovò a girare per le vie del villaggio con il solito kimono scuro e una katana di modeste dimensioni legate alla vita e nascosta dal tessuto nero. La lama venne estratta solo giunti finalmente al campo di addestramento di Kiri, mentre la neve continuava a scendere, lenta ed inesorabile come lo scorrere del tempo. Shiro era un ninja di Kiri e il suo ghiaccio ne era un segno, ma aveva scoperto un altro uso molto utile dell'arte dell'acqua che avrebbe volentieri testato quel giorno.
Socchiuse gli occhi e si concentrò mentre me mani si unirono in sigilli, ed una nebbia calava sul silenzio di quel luogo, accompagnata da miliardi di cristalli trasparenti.

Molte furono le parole smosse dal vento che come lui raggiunsero il cielo, oltre le nuvole appena sfiorate e chissà fin dove.
Insprirò l'aria dalle narici ed espirò piano, dalle sottili labbra. Si sfrozò di non piangere perché di lacrime ne aveva versate già fin troppe eppure fu difficile non emozionarsi, specialmente quando sentì l'altro pregare accanto a lei.
Specialmente quando Noctis l'avvolse nuovamente tra le braccia e il calore di un bacio tra la chioma rosso fuoco le strappò un dolce sorriso.
Non ti deluderò, mamma.
E sarebbe stato anche bello trovare suo padre, ma non aveva idea sul dove iniziare e men che meno sentiva che l'Uchiha potesse aiutarla in qualche modo. Soprattutto, il problema principale era la figura che oscurava addirittura il sole e che oggettivamente stava volando in picchiata verso di loro.
Amaya afferrò il braccio di lui con la mancina mentre l'indice destro si alzava verso il cielo.
«Noctis-sama?» il grosso falco arrestò la sua corsa a pochi metri da terra alzando un polverone che fece tossire la ragazzina.
Un nome veniva ininterrottamente pronunciato dal grosso becco, e prima di capirne il senso, Amaya rimase più che altro sbigottita dal fatto che gli animali potessero parlare.
Aiko, Aiko, Aiko
Ecco sì, poteva essere un pensiero assai dolce, ma il momento era talmente delicato, importante, che Amaya divenne rossa in volto, e questa volta non per imbarazzo, ma per rabbia. «AIKO NON È QUI! VATTENE VIA!» sbraitò, indirizzando il viso verso il giovane Uchiha che colpe non aveva, se non quello di essere letteralmente piombato dal cielo.

Avrebbe voluto rimanere per giorni, nocche a nocche contro il pugno di Noctis ma dall'altra parte provava anche un dolore immenso, capace di farle dimenticare anche come si respira.
Si lasciò cullare da quel contatto gentile atto ad accarezzarle la corta chioma rossa. Socchiuse gli occhi lasciando che le ultime lacrime scivolassero via mentre i denti affondarono leggermente nelle labbra. Ascoltava il battito del cuore altrui, un contatto che non ricordava poiché la balia era sì gentile, ma non avvezza a gesti d'affetto e così, si ritrovò a cullarsi dentro quelle braccia che sapevano di casa più di quanto sembrava. Quelle braccia che erano tornate al vigore di un tempo in un batter d'occhio.
Alzò la testa solo quando i visi di Aiko e Shuya furono ben nitidi nella sua mente e quei ricordi divennero un pò suoi. Un posto dove nascondersi quando il mondo le sarebbe sembrato troppo schifoso per viverci.
«Va bene» si alzò quindi seguendo l'Uchiha verso quello che sembrava un passaggio segreto, celato alla vista dei meno attenti.
Now the day bleeds...
Le siepi lasciarono ben presto spazio a un qualcosa di meno ordinato ma altrettanto bello: un piccolo prato pieno di girasoli che Amaya osservava con estrema premura, tanto che si avvicinò ad uno di essi sfiorandone appena i petali.
Into nightfall...
Il girasole è un fiore forte ma gentile, solare e allegro grazie al suo colore di un giallo intenso. Il girasole é un fiore forte perché grazie alle radici toglie dal terreno il male, le sostanze tossiche, ripulendolo. Il girasole é un fiore forte perché persevera nel suo credo, nel voltarsi verso il sole, nutrirsi dei suoi raggi caldi.
Amaya continuò sulla strada battuta finché anche il moro non arrestò la camminata davanti ad una pietra candida ben levicata con delle scritte in rilievo alle quali però, la Sarutobi non diede attenzione. Davanti al marmo, l'urna contente le ceneri di Aiko.
And You're not here...
Si avvicinò di qualche passo per poi inginocchiarsi e far aderire i palmi aperti tra loro.
Non aveva mai oregato davvero, non ne aveva mai sentito il bisogno e le poche volte che lo faceva (rigorosamente dopo uno sbuffo) era solo per compiacere la donna che l'aveva cresciuta. In quel momento peró, il suo cuore lo sentiva più leggero, gli occhi erano chiusi eppure Amaya ci vedeva benissimo. Il profilo della madre ormai le era chiaro, riusciva persino a ricordarne la voce, il sorriso, gli occhi chiari che non erano capaci di nascondere emozione alcuna.
To get me through it all...
Alcune parole erano dure, altre ricolme di tristezza ed altre ancora sentivano di dolce ma un dolce strano, un retrogusto che grattava la gola, come il peggior tabacco. Amaya parlava alla madre non attraverso le parole ma attraverso il cuore, senza sapere se davvero sarebbe servito a qualcosa.
Senza essere sicura che l'Uzumaki davvero la potesse sentire.
Quandi ebbe finito un vento caldo soffiò improvviso, solleticandole la pelle, accarezzandole i capelli.
Un sorriso.