BioShock Infinite: Writing in the Multiverse

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    Filosofo pazzo

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    La biblioteca ai confini del mondo

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    Autore: Francesco Dellamore
    Genere: Avventura, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
    Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Booker DeWitt, Sorpresa
    Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
    Link: Clicca qui

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    PREMESSA

    Questa storia ripropone in chiave scritta, come un racconto alla Jules Verne, la storia del videogioco di Bioshock Infinite, con molti elementi aggiuntivi, alcuni modificati, e capitoli della storia inventati dal sottoscritto. Una specie di Director's cut per omaggiare il capolavoro di Ken Levine. Questa storia è ambientata in uno dei tanti multiversi possibili della realtà di Bioshock…

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    Booker… hai paura di Dio?
    No. Ma ho paura di te.

    “La mente del soggetto lotterà strenuamente per creare memorie dove non ne esiste alcuna…”.
    (Barriere ai viaggi trans-dimensionali”, R. Lutece, 1889)


    1912 - Costa del Maine

    L’aria forte, pungente, quasi nuda e vera…ghiacciata, tanto da penetrarti nel profondo e rispedirti di corsa all’inferno. Le radio davano segnali di lunga assenza, e solo qualche volta si poteva udire, come lunghi brusii lontani, qualche musica triste che annunciava l’avvenuta del santo e freddo Natale. Quella lontana notte celebrò la paura del “passato”, e molti paesani che vivevano schivi lungo le coste, per angoscia o semplicemente nostalgia, rintanavano giunta la mezzanotte nelle loro case borghesi, e di tanto in tanto, una piccola luce sfavillava ai poveri vagabondi il calore familiare di chi può permettersi una casa; sì, una catapecchia calda, un letto morbido e una caldaia in grado di riscaldare i ricordi, e soprattutto i piedi; ecco cosa desiderava la mente di un uomo “solo” nello spirito, indebitato fino al collo e in compagnia di gente strana nel bel mezzo di una tempesta, su una piccola barchetta di legno che a stento sembrava rimanere a galla…

    – Hai intenzione di restare seduta? – disse improvvisamente un gentiluomo seduto ai margini della barchetta; l’uomo remava con fatica e sembrava irritato dal comportamento di una donna vestita con un lungo impermeabile color avorio;
    – L’alternativa qual è? In piedi? – ironizzò la donna. Nell’aria si stava aprendo sul pubblico immaginario del tempo e dello spazio, un docile siparietto che si presentava, ironicamente, come la “fredda commedia del Maine” del gentiluomo e della venerabile signora;
    – No, l’alternativa è remare. – continuò l’uomo che starnutì con vigore. La donna dalle vesti in avorio sembrò come infastidita da quella risposta, e puntò la sua voce autoritaria contro le orecchie di quest’ultimo;
    – Remare? Non ci penso nemmeno! – poi passò con mano delicata e attenta una piccola valigetta di pelle a una terza “figura in penombra”; il suo sguardo era profondamente confuso, come perso sulla piccola lanterna di luce che penzolava sull'asse principale della barchetta; l'uomo in penombra afferrò tremante la valigetta, e per la prima volta dopotutto quel cammino, sussurrò come spossato da quella situazione alcune parole alla donna;
    – Questo cos'è? – ma la donna non gli rispose. Il suo impermeabile continuava a volteggiar nella tempesta, e il suo comportamento assunse quello di un essere inesistente, come per dire un fantasma che non sente e non parla, ma che continua a dare l’idea di recitare davvero una semplice e tediosa commedia d’altri tempi;
    – Quindi ti aspetti che faccia tutto io? – intervenne l’uomo che rema. – No. Mi aspetto solo che remi sempre tu. – affermò convinta la donna al gentiluomo, che in un primo momento evitò più volte lo sguardo dell’altro uomo; quest'ultimo, rimanendo sempre in disparte a osservare i battibecchi della donna e del suo damerino altolocato, come stregato da quella valigetta, cominciò a esaminarla attentamente; l'oggetto non pesava molto e forse il suo contenuto gli avrebbe rivelato qualche informazione in più sulla sua missione;
    – E perché mai? – fece notare il gentiluomo che tornò ad aggiustarsi più volte la postura del corpo; a dirla tutta non era granché come traghettatore, anzi diede l’impressione di saperci fare più con le parole che con i gesti, tanto suggestivo da poter far arrabbiare la donna al suo cospetto;
    – E’ stata un’idea tua. – continuò la donna mantenendo un profilo seccante. Sembrava quasi che quei due si conoscessero da una vita, tanto da poter concludere le frasi con una strana e inaspettata sintonia, seppur in disaccordo per alcuni tratti;
    – Un’idea mia? –
    – Sono stata chiara, sul fatto che non credo nell’esercizio. – rispose la donna con una tale freddezza, da risultare quasi naturale per il suo carattere;
    – Remare? – domandò il gentiluomo; questa volta il suo sguardo sembrava rivolto, anche se fugacemente, verso l’altro uomo, quello taciturno e riflessivo in penombra;
    – No. Anche se credo sia un buon esercizio. – la donna sembrava di aver in pugno la conversazione;
    – Allora cosa? –
    – L’esperimento sul pensiero. – concluse la donna con tutta naturalezza. L’altro uomo, quello in penombra, posò la valigetta sulle gambe, e per un attimo affaticò molto per comprendere cosa diavolo stesse sostenendo quella donna; a dirla tutta l’intero viaggio gli era sembrato delirante, come una sorta di vita nuova, un viaggio che si percuote e si ripete come in un sogno, forse meno lucido di un incubo, e più onirico e folle del solito;
    – Uno partecipa a un esperimento... sapendo di poter fallire. – spiegò attento il gentiluomo.
    Sembrava che quell’assurda discussione si fosse arrestata improvvisamente, così l’uomo in penombra avanzò in avanti, e approfittando della situazione cercò in tutti i modi di farsi notare e prendere finalmente parola; – Scusate. Manca ancora molto? –
    – Ma uno non prende parte a un esperimento sapendo di aver fallito... –

    Silenzio. Nessuna risposta. La donna sembrava troppa presa da quei discorsi per dare retta all’uomo, che per un attimo pensò di essere morto; trascinato da chissà quale forza sovrannaturale nel bel mezzo di quel caos, per giungere alla meta finale di un lancinante ed eterno purgatorio senza parole; ma tutto gli continuava a sembrare troppo realistico. Il freddo sotto i piedi, l’ondeggiar violento dalla barca, la luce fioca che poco illuminava la sua vista, il rumore incessante dell’acqua, e il lungo brivido della vita che gli entrava “dentro” ogni qual volta che cercava un senso ai suoi ricordi. Forse perduti, forse cancellati dall'alcolismo o dai debiti. Che cosa era successo a quell'uomo? A quella ombra che ormai vagava nel bel mezzo del niente, e che ora stringeva ben stretto tra le mani una piccola e misera valigetta sconosciuta; o forse proprio estranea a lui non era?

    “Proprietà di BOOKER DEWITT, 7th CAVALLERIA, WOUNDED KNEE”

     
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