Viaggio nella follia

NO MORTE

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    Dove era?
    La sua voce nel vento correva...
    Nessun oggetto permetteva a Kaileena di distinguere i contorni del reale.
    Sopra la neve, dove lui combatteva...
    Un abito lungo e bianco copriva le sue forme sinuose e una corona di perle biancheggiava sulla nera chioma.
    Eppure le iridi di lei erano fredde e vuote.
    Cosa era stato dell'ironica kunoichi di un tempo?
    Solo un lago si apriva sotto i suoi piedi, privi di sandali, e sulle sue sponde liquide piovevano petali di fiori policromi.
    E il suo piede continuava a danzare.
    La sua voce nel vento restava...
    Nessun ricordo ormai era più nella sua mente.
    Solo il freddo di una lunga e solitaria follia.

     
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    Chi era lei?
    Solo un nome risuonava nella sua mente.
    Satomi.
    Ma cosa era un nome?
    Un riflesso di una identità.
    Eppure, perché quel nome le risuonava così falso?
    E poi ancora quell'odore di morte e disperazione...
    Corpi che cadevano, piagati da una incurabile malattia.
    E la consapevolezza.
    Era sola.
    La sua voce nel vento restava
    Sulla platea e muta ascoltava...
     
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    La ragazza continuava a danzare, spargendo sull'acqua petali di fiori.
    Niente pareva raggiungere la sua mente, perduta nella follia.
    Come una stralunata Ofelia, contemplava il paesaggio senza quasi vederlo.
    Tremo e ho freddo, disse il soldato
    Cosa ne era stato delle sue radici, per quanto rinnegate e detestate?
    I Kobura erano stati tutti sterminati, distrutti, annientati.
    E questo grazie ad una epidemia che, in quei lunghi anni, aveva praticamente annientato quella forza possente.
    Era rimasta solo lei, inutile mezzosangue, in quel momento prigioniera di una illusione, di un nome.
    Satomi.
    Ancora questo nome, pronunciato da quell'uomo mentre applicava un genjutsu possente di controllo mentale, che l'avrebbe lentamente modellata, annullandone ogni individualità.
    Satomi.
    Solo quel nome risuonava sulle labbra di quell'uomo, che presto sarebbe stato colpito dal morbo.
    Chi era quella donna?
    Nessuna domanda. Solo il suo io che si infrangeva, stritolato da quella morsa mentale possente.
    E la danza continuava leggiadra, mentre sull'acqua nevicavano petali policromi.
     
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    ~Se son rose appassiranno

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    Il grado Chunin è sprecato per te... scrivi molto bene....
     
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    I petali leggeri si abbandonavano sull'acqua.
    La donna, tuttavia ancora dotata dell'avvenenza di una ragazza, non cessava quella leggiadra e folle danza.
    Alcuni petali si adagiavano leggeri sui lunghi capelli neri, quasi volessero accentuarne l'oscura bellezza.
    Satomi.
    Ancora quel nome risuonava nella sua mente.
    E quell'odore di morte.
    Due impressione contrastanti guerreggiavano nella sua mente, troppo a lungo provata.
    Una donna leggiadra e bella, simile ad una dea effigiata in antiche statue cultuali.
    E un'orrenda epidemia, che distruggeva lentamente un intero clan-
    Solo lei sopravviveva, ma cosa ne era stato della sua identità?
    Satomi.
    Ancora quel nome risuonava nella sua mente, eppure un lieve stridore trafiggeva le sue orecchie quando lo pronunciava.
    Non è il tuo nome.
    Tu non sei lei.
    Lei chi?
    Chi è lei?
    -Chi sono io?-mormorò sollevando il braccio e lanciando altri petali che., lenti, si adagiarono sull'acqua.
     
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    Follia... Ardente fervore in tale stato si poteva ricevere dalle persone come invece una calma piatta. Uno stato casuale e caotico in cui la mente umana pare soggetta a cambiamenti drastici e immediati come in lunghi periodi di assenza di attività, una totale scelta casuale a tutto ciò riguarda la vita della persona stessa. C'è chi la accetta e chi ne ha paura, specialmente quelle persone dedite alla logica su ogni cosa, all'ordine, al regime, alla legge e alla giustizia. La figura dai capelli rossi aveva paura della follia? Che essa potesse pervadere il suo animo in uno stato dove non ricordava più chi era, chi erano i suoi amici? Una realtà distorta? Oppure era la stessa realtà che tutti pensavano fosse distorta ad essere la realtà più giusta? Troppi concetti, troppe parole, troppi pensieri. Una logica ingiusta nei confronti di una mente umana, complessa nel suo intero ma semplice nel far fluire i pensieri stessi, troppi affanni mortali. Affanni inutili quelli di dover pensare, di dover porsi delle domande, complicate o meno che potevano essere. Una giornata calda nel suo villaggio, una tipica giornata calda di intenso fervore nella propria vita. La vita scorreva limpida nelle strade, la linfa vitale chiamata uomo. Un essere di due sessi differenti eppure così strano, diverso l'un l'altro, così strano e divertente da osservare con gli occhi marroni di quel ragazzo dalla chioma rossa. Seduto sulla finestra del suo piccolo appartamentino osservava con la sua lunga veste corvina la linfa vitale del villaggio fluire nell'agitazione e negli affanni di tutti i giorni ed era in quei momenti che capiva il perchè del suo grado, del suo ruolo, del perchè era diventato ciò che era. Ma oggi, in quella calda giornata, non ci sarebbe stato alcun villaggio, alcun legame forse, ma un lento e vorticoso viaggio verso la follia. Quella figura, ormai scomparsa da quella finestra, era diretta altrove, per trovare uno sfogo forse alla sua solita prigionia ordinaria, trovare una via di fuga, una libertà da tutto ciò. Il suo passo, lento e inesorabile, lo avrebbe portato in un luogo assai atipico per lui. Un viaggio strano, pieno altresì di dubbi e pensieri che però, quel giorno, dovevano essere rinchiusi in quelle mura nefaste e imponenti quali erano le mura del villaggio. Un viaggio tranquillo e senza pensieri dunque, fino ad un lago. Un lago pieno di petali di svariati colori. Poi, alzando lo sguardo, una figura. Codesta figura, dai lunghi capelli corvini, era vestita da un abito bianco e da una collana che si muoveva quasi non pesasse. Una danza, era questo quello che contraddistingueva i movimenti di quella leggiadra figura. Si muoveva quasi fosse un riflesso incondizionato, anzi lo era a parere del giovane abitante della Sabbia. Seduto su di un masso che si ergeva sul lago guardava con il suo solito sguardo apatico quella ragazza e il suo strano modo per trasmettere emozioni. Seduto e quasi incantato da tutto ciò rimase in silenzio fino a quella domanda, la sua domanda che sembrava più rivolta a se stessa che ad altri

    Chi sono io?

    Si chiese, una risposta detta senza apparente pensiero alcuno provenne dal ragazzo

    Un'anima smarrita forse?

    Nessun ripensamento, una risposta diretta a quelle parole dette dopo una danza che non voleva volgere al termine...
     
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    Un'anima smarrita forse?
    La ragazza sentì quelle parole e si voltò.
    Ancora proseguiva il miracolo di quel corpo che camminava sull'acqua, adorno ancora di petali policromi.
    Satomi.
    Quel nome ancora risuonava nella sua mente e sembrava quasi tagliare ogni connessione col suo passato.
    Eppure, perché era un nome falso?
    Non era suo!
    Chi era lei? Chi era lei?
    Una domanda che restava sospesa nella sua mente, adagiandosi leggera come i petali che recava in un ampio velo della sua veste.
    Bella, eterea e folle era ormai la donna.

    I suoi occhi viola lentamente fissarono la figura che era dinanzi a lei.
    Un tempo i suoi sensi avrebbero percepito quella presenza, ma la sua mente era come rinchiusa nella morsa di una illusione invalicabile...
    -Chi sono io? Chi sei tu?-la stessa voce colma di follia e di dolore.
     
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    Chi sono io? Chi sei tu?

    Quella risposta, detta con un'insana schiettezza e senza pensarci due volte, pareva non aver distolto la corvina ragazza dalla sua danza, finchè non fissò lo stesso ragazzo con aria interrogativa e gli fece quelle due fatidiche domande. Chi era lui? Una bella domanda. Era una persona nata a Suna, era un marionettista ed era il fratello di uno degli special jonin del villaggio. Era un Anbu pronto a fare qualsiasi cosa per ciò che riteneva caro a se, per quella persona che gli disse semplicemente di rimanere amici, e di ogni abitante del villaggio. Era per quello che ora teneva quella lunga veste nera con il kanji dello scorpione disegnato dietro. Era un artista, disegnava, scolpiva, creare le più svariate marionette senza il minimo margine di errore. Era un collezionista. Potevano essere queste le risposte a cui poteva aspirare, a cui poteva o doveva convincersi? Altri pensieri. Era andato via da quel villaggio per trovare un pò di pace a quelle tenaglie così pressanti da renderlo quasi insicuro di se stesso. Chi era lui?

    Una persona che cerca un pò di libertà, e tu?

    Chiesi guardandola dritta nei suoi occhi. Nessuna indecisione, nessuna emozione di gioia o dolore... Chi era lei? Più vedevo quella figura più non riuscivo a capirlo, chi era? Solo uno sguardo con i suoi occhi color legno che fissavano quella figura femminile...
     
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    Una persona che cerca un po' di libertà. E tu?
    Un leggero e vuoto sorriso distese le labbra della donna.
    Chi era lei?
    Non lo sapeva.
    Non sapeva rispondere a quella domanda così banale, eppure così difficoltosa.
    Cosa le avevano fatto in quegli anni?
    Erano come un abisso oscuro, del quale però percepiva l'angoscia e la sofferenza.
    Tuttavia, sempre quel nome era presente sulle sue labbra.
    Satomi.
    Sembrava adattarsi alla sua essenza, eppure una voce flebile si levava nell'immensità vuoto della sua mente.
    Questo non è il tuo nome.
    Tu non sei lei.
    E allora perché lo sentiva adatto a lei?
    Chi era lei?

    -Io... io...-
    Ad un tratto però sentì come se la sua mente fosse stata tagliata da una lama incandescente.
    No. Quel nome non era suo.
    Anche se risuonava nella sua mente, non era suo.
    Non le apparteneva.
    Si portò una mano alla fronte, cercando di placare la sofferenza, che sembrava accrescresi.
    Carne lacerata.
    Sangue.
    E p oi abisso.
    -Io... Io...-provava a parlare, ma le parole erano solo un gemito strozzato e confuso.
     
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    Altre incertezze... Altre indecisioni. Una risposta che non voleva arrivare. Chi era quella figura enigmatica e corvina che sembrava aver smesso di danzare? Neanche lei trovava risposta, ipnotizzata forse, dal suo stesso ballo, o chissà, magari rincorsa dai suoi stessi ricordi. La sua risposta, ancora incerta...

    Io... Io...

    Nulla più, un solo e banale Io... Possibile che non conosceva se stessa? Aveva perso veramente la facoltà di sapere chi fosse? Con lo stesso tono di prima, con la stessa apatia di prima, risposi notando il suo atteggiamento...

    E quindi, sconosciuta compagnia, sei rincorsa dai ricordi e non sai chi sei. Dimmi allora, se posso osare, quali sono questi ricordi?

    Era un piccolo aiuto a ricordare, forse, con quei ricordi tornati, avrebbe trovato chi fosse e non solo la insana incertezza di non sapere chi fosse... Ma la sua domanda, quella di prima, continuava a pervadere ed echeggiare nella testa del ragazzo dai capelli rossi... Chi era lui? Quale era il suo vero io? Per anni artista, per una vita fratello e per un decennio ninja... E poi? Chi tra tutti questi Sasori era veramente il suo vero io? Possibile che, come stava pensando da un pò, avrebbe seriamente lasciato tutto ciò per compiere ciò che lui voleva, ciò che lui desiderava ardentemente? Vivere una vita piena di affanni per non far notare che il tempo, il suo più acerrimo nemico, era sempre alle sue costole con quella grande falce che pendeva sulla testa di ognuno di loro? Poteva essere quella la soluzione da tutto? Staccare i fili della sua vita, del suo destino, e non essere più una marionetta di nessuno, ma diventare egli stesso colui che prendeva le redini di quel cavallo indomabile chiamato fato o destino? Era un dubbio che lo attanagliava da troppo, troppo tempo...
     
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    La ragazza, sentendo quelle domande, si portò le mani alla testa.
    Il dolore le pugnalava la mente, quasi cercasse di estrarre da ella un perverso nutrimento.
    Un gemito strozzato le sgorgò dalle labbra. A lei parve un urlo, ma era il lamento di un agnello pronto ad essere macellato.
    Il suo bel viso era distorto in un ghigno di dolore e lacrime colme di sofferenza gocciavano sulle sue gote pallide.

    Satomi.
    Non è il tuo nome?
    Non è il tuo nome.

    Una identità diversa stava emergendo dall'abisso dei suoi ricordi.
    Aveva le sembianze di un'ombra, eppure alla giovane pareva di conoscere quel vago riflesso che si modellava dinanzi ai suoi occhi.
    Chi era quell'ombra?
    E perché la guardava?
    Cosa voleva?
    Cosa cercava?
    Sembrava avvertirla di qualcosa...
    Ma di cosa?

    Un leggero velo di sudore increspò la fronte pura della giovane kunoichi, che strinse i denti, reprimendo un gemito di dolore.
    -Io... Io è da tempo... da tempo che non so chi sono....-
    Un lampo di dolore la accecò. Quel nome la stordiva...
    Eppure, perché una voce la avvertiva che non fosse il suo?
    Chi era lei?
    -C'è un nome che mi risuona nella mente... Eppure qualcosa mi dice che non è il mio...-mormorò prima che un gemito spegnesse le sue parole.
     
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    Attimi di silenzio precedettero ciò che stava per avvenire. La sua mente si sforzava di ricordare, di capire chi veramente fosse, ma non vi trovava risposta...

    Io... Io è da tempo... da tempo che non so chi sono....

    C'è un nome che mi risuona nella mente... Eppure qualcosa mi dice che non è il mio...

    Questo qualcosa è il vero te stesso. Chiunque può smarrire la strada, nessuno escluso. Sta alla nostra volontà ritrovarsi...

    Neanche il tempo di finire di parlare che ecco, a malgrado della rossa figura, un volatile messaggero che lo stava raggiungendo. Dentro vi era un messaggio, un messaggio di richiamo. Uno sguardo quasi dispiaciuto e rammaricato precedette le parole che disse...

    ... Aihmè il tempo di vedere la tua danza, misteriosa figura, è giunto al termine. Il dovere mi chiama... Mpf... Quale dovere se non quello della chiamata alle grandi imprese... Una chiamata quasi superflua forse...

    Pensò quasi ad alta voce alzandosi con calma. Si ripulì la lunga veste sbattendo le mani su di essa un paio di volte. Poi, con sguardo tranquillo, guardò quella figura leggiadra e finì dicendo

    O misteriosa figura, purtroppo non posso dirti chi sei ma posso dire il mio nome, Sasori. Se avrai bisogno ancora di me, sai dove trovarmi: nel paese del vento. Lascio alla tua mente l'arduo compito di proseguire nel capire chi sei. Con calma ricorda... Ma la cosa più importante è questa: non avere mai paura dei ricordi. Belli o brutti che siano fan parte della tua storia, se li hai compiuti un motivo ci sarà stato. Non abbatterti e credi nella possibilità di capire chi sei, con calma, e senza fretta. Balla o mia bella e misteriosa ragazza che non si ricorda chi è. Spero che un giorno ci incontreremo di nuovo, almeno mi dirai chi sei...

    Pian piano, passo dopo passo, quella figura si allontanò da quel luogo per andare dove venne chiamato...


    Sorry Sirya, non posso continuare la ruolata, se e quando vorrai farne un'altra sai dove trovarmi, mi piace il tuo stile di descrizione, brava complimenti, bye bye :P
     
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    Ancora era sola.
    La ragazza, con sguardo vitreo, fissò l'uomo, che si allontanava.
    Satomi.
    -Basta!-esclamò ad un tratto e un lungo lamento sgorgò dalle sue labbra.
    Quel nome non era suo!
    Ne era sicura!
    Si portò le mani alla testa, cercando di placare il dolore atroce che aveva cominciato a lacerarla.
    No!
    Era come se ci fosse un conflitto tra due personalità.
    Una era Satomi.
    L'altra... chi era l'altra?
    E perché sembrava gridare nell'abisso della sua mente?
    -No...-urlò la kunoichi e si adagiò nell'acqua, gemendo.

    Il freddo quasi le invadeva le membra, ma la giovane continuava a galleggiare, come Procri uccisa da Cefalo, e fissava con un'espressione angosciata il cielo, che sembrava volesse rovinarle con uno schianto di morte.
    E i petali, lenti, continuavano a galleggiare.
     
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    La donna continuò a galleggiare nell'acqua.
    Il suo sguardo, perso in una muta angoscia, contemplava il cielo quasi senza vederlo.
    I petali si adagariarono con lentezza sulla calma liquida del lago, componendo attorno al corpo di lei strani disegni colorati.
    -Le cose potranno mai cambiare?-si domandava ella, quasi non sentendo il gelo che pervadeva, come in un abbraccio insidioso, le sue membra.
    La sua mente, divisa tra due personalità, aveva quasi perso il contatto con il reale.
    La giovane ormai non distingueva più nulla nel suo campo visivo.
    Solo incubi e fantasmi ti tormentano, eh bambina?
    Ma non importa, troverai la pace...
    Nulla più ti angoscerà.
    La bocca le si spalancò in un grido senza voce. In quel momento, dinanzi a lei, il cielo si era riaperto e una figura nera, armata di una falce, danzava dinanzi ai suoi occhi privi di vita...
    Non ti farò del male, bambina.
    Grazie a me, il tuo dolore cesserà.
    Non lottare contro di me, bambina.
    -Già... Le cose non possono cambiare...-pensò Kaileena con un sospiro.
    Niente più aveva senso nella sua mente turbata.

    La figura, con un movimento brusco, la spinse nell'acqua gelida.
     
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    Affondare.
    In quel momento ella desiderava solo quello.
    Bramava precipitare in quell'abisso liquido.
    L'universo di lei era ormai un immenso utero d'acqua gelida.
    Ed ella voleva perdersi in quell'universo che aveva il freddo dell'abisso e la mutevolezza del liquido.
    La mano di quella figura stringeva il suo collo sottile, imponendole di non respirare.
    La donna, ormai, era inerme, eppure un frammento di vita continuava a persistere in lei.

    Chi sono io?
    Devo saperlo.
    Devo capirlo.
    Non posso arrendermi.

    Eppure, era sempre più debole...
    Eppure, non cedeva.

    Vattene, lasciami stare.
    Non tormentarmi più.
    Non voglio più vivere.
    Sono finita.

    E i petali galleggiavano inerti sul liquido chiarore del lago.
     
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