Depressione Perinatale e Disturbi di Personalità

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    DEPRESSIONE PERINATALE E DISTURBI DI PERSONALITA’



    L'area del disagio psichico materno perinatale comprende una varietà di manifestazioni psicopatologiche, eterogenee sia sul piano della fenomenica descrittiva che in termini di gravità del quadro clinico presentato (Brockington, 2004). L’osservazione e l’analisi di queste caratteristiche ha pertanto condotto i ricercatori ad interrogarsi sull'esistenza di percorsi etiopatogenetici distinti e fattori di rischio specifici, alla base delle diverse condizioni cliniche riscontrate (Beck CT, 2005).
    Nella pratica clinica, soltanto in un esiguo numero di casi osservati la sintomatologia presentata dalle pazienti soddisfa i criteri del DSM-IV per un episodio depressivo maggiore; più di frequente i sintomi depressivi rappresentano l’epifenomeno di un disagio più profondo, che lascia ipotizzare la presenza di disturbi nell’area dell’integrazione dell’identità e della modulazione affettiva.
    Diversi Autori si sono dedicati alla comprensione della gravidanza e della maternità enfatizzando il difficile compito che attende le donne in questa fase del ciclo vitale (Pazzagli, 1981). La maternità si configura, infatti, come un periodo di vulnerabilità, in cui le numerose trasformazioni che si verificano da un punto di vista fisico, psicologico e relazionale, implicano una profonda riorganizzazione della realtà interna ed esterna, una sorta di “crisi identitaria” che consente alla madre di creare nella propria mente uno spazio adatto a contenere la rappresentazione mentale si sé come genitore e del bambino (Stern, 2000). In questa fase di transizione, spesso giungono all’attenzione clinica donne con sintomi di tipo affettivo che insorgono nell’ambito di strutture di personalità complesse,le cui aree di funzionamento intrapsichico e relazionale, da sempre problematiche, diventano disadattive in occasione del delicato passaggio dall’essere figlia all’essere madre.
    In generale, la patologia di personalità viene considerata un fattore di rischio significativo per l’insorgenza, lo sviluppo e il trattamento di diverse condizioni psicopatologiche .
    Tuttavia, se da un lato la relazione tra Disturbo Depressivo Maggiore e Disturbi di Personalità è stata ampiamente approfondita in letteratura, dall’altro esiste al momento solo un esiguo numero di studi clinici volti ad indagare l’organizzazione di personalità come fattore di vulnerabilità nello sviluppo della depressione perinatale (Aceti 2012).
    Gli studi finora condotti riguardano il disturbo ossessivo-compulsivo, dipendente ed evitante, per quanto attiene al Cluster C, ed il disturbo borderline di personalità all’interno del Cluster B.
    Un legame specifico fra tratti di personalità di tipo ossessivo-compulsivo/dipendente e rischio depressivo perinatale appare riconducibile alle caratteristiche proprie di questi profili, accomunati dalla tendenza a sperimentare vissuti di colpa ed inadeguatezza, bassa autostima, scarso senso di autonomia, che si accompagnano a rimuginazione ideativa, anassertività e ipersensibilità al rifiuto.
    L’inclinazione di queste madri a sviluppare stati d’ansia unitamente alla predisposizione a vivere i rapporti intimi alla luce di un atteggiamento di iper-responsabilità, trasforma l’impegno dell’accudimento in un carico emotivo insostenibile che prelude allo scivolamento nella condizione depressiva (Akman 2007, Uguz 2009). Questa tipologia di pazienti più di frequente va incontro ad una forma depressiva che potremmo definire psicoastenica, in cui l’aspetto specifico è rappresentato da un vissuto di inadeguatezza pervasivo che sostiene un’ideazione ossessiva e comportamenti di controllo riguardo la salute psico-fisica del figlio.
    Altri studiosi si sono occupati del rapporto tra disturbo borderline di personalità (BDP) e depressione perinatale, sottolineando come le generali modalità di funzionamento di queste donne possano specificamente interferire con la riorganizzazione identitaria e relazionale richiesta dalla gravidanza e dalla maternità (Fonagy 2002). E’ stata in particolare evidenziata la difficoltà delle madri con organizzazioni borderline nel decifrare gli stati emotivi del bambino e le loro oscillazioni tra un catturamento in esperienze di ostilità, impotenza, eccitamento e/o ritiro dissociativo che mettono radicalmente in discussione il senso di continuità del proprio sé.
    Nelle donne con disturbo borderline di personalità, l’elemento chiave per comprendere le alterazioni della interazione madre-bambino sembra essere l’esperienza di uno stile di attaccamento disorganizzato. Pazienti affette da disturbo borderline sperimentano molte difficoltà nell’adempimento del ruolo genitoriale e nel facilitare un attaccamento sicuro nel proprio figlio (Newman, 2005). Le neomadri con BDP esperiscono sentimenti di estraneità rispetto al loro figlio, percepiscono se stesse come incompetenti nel ruolo genitoriale, falliscono nell’ interpretare correttamente gli stati d’animo del neonato (Bland, 2004) e pertanto non rispondono adeguatamente ai suoi bisogni.
    Donne con tale profilo personologico possono sviluppare una forma di depressione con caratteristiche differenziate rispetto al quadro precedentemente descritto, il cui elemento specifico è rappresentato da un instabilità del tono dell’umore, a coloritura prevalentemente disforica, che si accompagna ad angosce claustrofobiche e persecutorie, a diffidenza e suscettibilità nelle relazioni interpersonali, con tendenza alla proiezione e all’autoriferimento.
    Quando la risposta ai propri bisogni è stata rifiutante/imprevedibile da parte del proprio caregiver (microtrauma relazionale), come nel caso di soggetti con attaccamento disorganizzato, le richieste del figlio sono percepite come persecutorie. Il figlio diventa il contenitore dell’odioproiettato, viene vissuto come danneggiante o come oggetto che puoi danneggiare o abbandonare, elicita sentimenti di impotenza, frustrazione, rabbia, ostilità inducendo la madre a sottrarsi o a disinvestire la relazione.
    Nel campo psichico materno riappare la situazione traumatica originaria, che diventa il nucleo centrale attorno al quale ruotano i vissuti e gli agiti materni; le madri ripetono e ripropongono relazioni “abbandoniche”, dove si sperimenta il vuoto e l’assenza della relazione.
    In tale clima emotivo tendono ad instaurarsi degli stili parentali che spesso esitano in un accudimento ai limiti del neglect (trascuratezza emotiva) o dell’abuso, in una sorta di trasmissione transgenerazionale del trauma (Wai Wan M, 2009).
    Il profilo personologico va quindi integrato con una riflessione sugli stili di attaccamento. E’ noto dalla letteratura che esperienze interpersonali precoci influenzino la personalità ed il funzionamento psicosociale in età successive. Se da una lato un attaccamento sicuro-autonomo è considerato un fattore protettivo rispetto allo sviluppo di disturbi psicopatologici, dall’altro l’attaccamento insicuro (nelle sue varianti di distanziamento, iper-coinvolgimento e disorganizzazione) rappresenta invece un fattore di rischio per lo sviluppo di una patologia psichiatrica, in particolare un disturbo dell’umore o un disturbo di personalità (Dozier, 2010). La teoria dell’attaccamento è potenzialmente in grado di ispirare modelli eziologici dei disturbi di personalità, poiché cerca di spiegare in che modo le esperienze interpersonali precoci influenzino la personalità ed il funzionamento psicosociale in età successive, nonché come si mantengano, una volta formate, la disregolazione affettiva, le relazioni instabili e le rappresentazioni mentali problematiche (vedi box attaccamento).
    Saper individuare i tratti personologici e i pattern di attaccamento sottesi alla sintomatologia depressiva insorta nel periodo perinatale appare quindi fondamentale in quanto essi rappresentano il dispositivo di vulnerabilità su cui si instaura la patologia stessa, determinandone la presentazione clinica, il decorso e la risposta al trattamento.
     
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