Il tepore della realtà tra i piani delle dimensioni. E' un abbraccio, come star sotto le coperte in una mattina d'autunno mentre fuori ogni essere vivente corre, diretto verso uno scopo che ancora non coglie, obiettivi che ancora non si è prefissato.
Si smuove: un frammento di universo vortica attorno all'essere.
E' un'esplosione di colore, un urlo materico, qualcosa di incommensurabile. Sorride, e la bolla multicolore gli restituisce il sorriso.

«Ben tornata.»

Un guizzo, una vibrazione lo avverte. Con una punta di tristezza lascia che una piccola parte della sua essenza si stacchi, prendendo forma, brillando come un piccolo portale in quell'universo tra i mondi, mentre tutto si fa più freddo. La sua coscienza precipita su se stessa richiudendosi tra i piani del metafisico, forando lo spaziotempo come un verme nella mela marcia. Il gelo attanaglia le budella appena nate, sabbia aggregata e trasmutata in carne viva; poi tocca al cuore martellante e l'aria gelida è fuoco sul tessuto molle, partorito dal deserto stesso nella notte senza stelle. Il corpo si contorce, incompleto, dilaniato, il sangue che scorre dal terreno verso le vene squarciate mentre queste si richiudono, uno sventramento osservato al contrario, un corpo che nasce dove prima non v'era nulla.

Le urla iniziano appena i polmoni vedon la luce.

Non si è mai abituato a quella transizione, da semplice idea a creatura di carne e sangue. Tra i mille modi di manifestarsi nei piani fisici, quello era certo il più doloroso. Eppure tante creature, tante civiltà non avrebbero accettato la vista dello stato in cui il vecchio Essere si era ridotto.

Inspirò, stringendosi addosso il mantello bianco sporco. Ogni volta che lo materializzava non riusciva a crearne uno totalmente candido, come se qualcosa del suo esser stato Umano macchiasse sempre e per sempre la sua anima. Era positivo.
Lo aiutava a ricordare, ogni volta, da dov'era partito.
L'aria del deserto riempì il suo corpo. Trattenne la nausea. Era come essere rinchiusi in una serra piena di carne putrefatta. La materia decomposta. Il tanfo di marcio, il pigolio delle larve affamate.
Gli occhi si inumidirono, le narici bruciano per il rivoltante lezzo di carne. Era da anni che non tornava nelle Terre Ninja. Sacchi di bile e budella mossi da odio, codardia, pregiudizi, malevolenza.

Non gli importava. Erano i suoi protetti, ognuno di loro, per ogni vita sbocciata tra la sabbia del deserto aveva un pensiero compassionevole, una preghiera. Non le sentiva più, lontano, nella sua ricerca tra i mondi, ma a volte qualche frammento del suo piano d'origine lo raggiungeva.
Come quella semplice, multicolore massa fluttuante.

« E così, qualcuno ha deciso di emergere. »

Alzò una mano, catturando il vento del deserto come si coglie l'acqua cristallina da una fonte. Lo lasciò scivolare tra le dita abbronzate, libero, seguendone il mutare e il sussultare, percependo ogni essere ed ogni anfratto con il quale esso andava a scontrarsi nella sua corsa. Non era tornato per godere della vista delle dune.

« Povero il mio deserto. Tinto di rosso così tante volte. »

Sotto i ciuffi di capelli scarlatti, una lacrima segnò la pelle brunita.

« Così tante volte. »