Il viaggio proseguì.
Zahira, di tanto in tanto, usciva dal carro e si accorgeva del mutamento del territorio. Il deserto, presto, era stato sostituito da una terra secca, simile ad una savana, punteggiata di pozze d'acqua motosa.
Forse, ci stiamo avvicinando. Presto, avrebbero raggiunto il monastero.
Tuttavia, il senso di vigilanza aumentava e le rimordeva la coscienza la sepoltura affrettata data al jonin caduto. Ma non poteva pensare a riti complicati, col rischio di un attacco.
Piccole macchie di verde, ad un tratto, cominciarono a interrompere il monocromo giallore del suolo e un debole sentore di vegetazione in rigoglio sfiorò il naso di Zahira.
Qualche ora, dopo, un canyon si aprì davanti a loro e una radura ampia, splendente di fiori policromi, si materializzò, come un sogno.
La ninja, che era uscita dal carro, contemplò con avidità il paesaggio. Le piaceva quella mescolanza di colori, così armonica nella sua spontaneità.
Inoltre, il suo olfatto si ubriacava degli olezzi dei fiori e dell'odore del suolo, grasso di piante decomposte.
Si privò del velo e del cappello e i lunghi capelli neri, come un'onda serica, si liberarono sulle sue spalle.
Davanti a loro, si ergeva una struttura templare bianca, a pianta rettangolare, che poggiava su un basamento quadrato, fronteggiata da strutture simili a punte di lancia.
Sui muri perimetrali, brillavano ornamenti celesti e oro e decine di statue umane e astratte alleggerivano il tempio.
- Che facciamo? - chiese uno dei jonin.
La ninja accennò ad un sorriso seducente, retaggio della sua esperienza di prostituta.
- Voi restate qui. Mi farò avanti io. - disse.
Scese dal carro e, a passo rapido, percorse i metri che li separavano dal tempio.
Vide un uomo alto e robusto, dai lunghi capelli neri, steso sulla scalinata, una mano stretta attorno ad una fiasca.
Un monaco sbronzo. Questo lasciava sorpresa la sua mente.
Di solito, i monaci erano associati a temperanza e virtù
Si chinò e, con delicatezza, posò le sue mani sulle spalle e lo scosse.



Zahira si presenta più o meno così. Gli occhi però sono indaco.

Le parole della ninja originaria del clan Hyuuga parevano sincere, ma Zahira non ci credeva.
Non del tutto, almeno.
Konohagakure, ai suoi occhi ormai disillusi, era famosa per il suo volto.
Angelo sul volto. Demone nel cuore.
Quanto sangue arrossava la storia ninja, a causa di quel villaggio, dai primordi fino alla sua epoca?
Tanto. Troppo.
Zahira era dotata di abilità sensitive, ma non riusciva a fidarsi nemmeno di se stessa. Come poteva credere nelle sue capacità, quando era nata dall'arbitrio di un folle, reso tale dal dolore?
Niente di lei era autentico.
Non era una persona come le altre.
Non poteva fidarsi di se stessa.
No, doveva essere prudente.
Fece un passo avanti e scrutò i ninja.
Poi guardò i guerrieri di Suna e li scrutò con espressione fredda, vuota, diffidente.
- C'è qualcuno della squadra interrogatori? Io non mi fiderei. -