La Depressione Perinatale

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    LA DEPRESSIONE PERINATALE



    Il periodo perinatale, che comprende il concepimento, la gravidanza, il puerperio e si protrae fino a un anno dal parto, è una fase cruciale per la vita della donna, che, attraverso una metamorfosi biologica, neuroendocrina, psicologica, sociale e fisica, sarà condotta verso un’esperienza unica e irreversibile: la maternità.
    Il termine perinatale, pone l’accento sulla necessità di considerare sia il benessere materno che quello infantile, in un momento in cui, per la madre, esiste un elevato rischio di esordio o ricaduta di disturbi dell’umore, un’aumentata vulnerabilità emotiva e sociale, che pesano sullo sviluppo della relazione di attaccamento materno-infantile (Austin, 2013).
    Questa fase, tradizionalmente considerata “sacra” perché fonte della vita, in cui la madre sarebbe quindi immune e protetta dal disturbo psichico, rappresenta in realtà un passaggio impegnativo ed insidioso, vissuto da molte donne con inquietudine e preoccupazione.
    Gli aspetti psicologici, i risvolti sociali ed i mutamenti ormonali, possono provocare fluttuazioni del tono dell’umore lievi e transitorie come la ben nota maternity blues.

    Questa sindrome che colpisce il 50-80% delle donne, nei dieci giorni successivi al parto, è caratterizzata da instabilità del tono dell’umore, tendenza al pianto, tristezza, ansia, rabbia, occasionali pensieri negativi verso il neonato e scarsa progettualità. Trattandosi di sintomi che si risolvono spontaneamente, in breve tempo e che, per definizione, non compromettono il funzionamento, non è in genere necessario l’intervento terapeutico, quanto piuttosto un’opera di informazione e sensibilizzazione sulla natura del disturbo, che promuova un idoneo supporto sociale e familiare, in vista peraltro,sia del potenziale impatto negativo della baby blues nel tempo, che dell’eventualità di sottovalutare un quadro clinico più grave.
    Durante tutta la gravidanza e fino ad un anno dal parto infatti, il 10-20% delle donne sviluppa sintomi più severi e complessi che configurano un vero e proprio disturbo psichiatrico: la depressione perinatale. La prevalenza di tale disturbo, è simile a quella della depressione maggiore; quando invece, consideriamo solo il primo mese dal parto, l’incidenza media diventa quattro volte superiore. È anche per questa ragione, che il DSM-5 colloca l’esordio della depressione perinatale tra la gravidanza e le sole prime, quattro settimane dopo il parto, sebbene diversi studi presenti in letteratura e la pratica clinica, dimostrino chiaramente che il disturbo possa esordire fino ad un anno dal parto (Wisner, 2013).
    Dati così allarmati, rendono la depressione la complicanza più frequente della gravidanza e del periodo postnatale (Niolu, 2012).

    I fattori di rischio più noti includono: pregressa depressione, familiarità per disturbi dell’umore, lo status di madre single, l’età minore di 20 anni, l’avere più di tre figli, la violenza domestica, il tabagismo, un basso livello socioeconomico, la qualità della relazione con il partner, lo scarso supporto sociale, aver subito maltrattamenti durante l’infanzia (Stewart, 2011): in uno studio recente si stima che le donne che hanno subito un trauma, soprattutto abuso sessuale, fisico, perdita o malattia di una persona cara, siano più vulnerabili alla depressione in gravidanza, con un rischio di malattia quadruplo se il traumi sono stati almeno tre (Robertson-Blackmore, 2013). Sono stati inoltre chiamati in causa e studiati anche altri fattori, come la modalità del parto:sembra che le donne con depressione in gravidanza, scelgano in particolare il taglio cesareo, quest’ultimo associato ad una maggiore incidenza di depressione nei primi giorni dal parto (Rauh, 2012); il disturbo disforico premestruale, le alterazioni dell’umore conseguenti all’uso di contraccettivi orali, la maternity blues, eventi stressanti e aumento dell’ansia in gravidanza, l’avere una bassa autostima(O’Hara, 2013), il parto traumatico, una gravidanza non programmata o indesiderata (Mercier, 2013).

    I sintomi della depressione perinatale non sono diversi da quelli della depressione maggiore. Sintomi comuni nel peripartum, ma non specifici, comprendono: labilità emotiva, fluttuazioni del tono dell’umore, difficoltà di concentrazione, preoccupazione per il benessere del neonato, sentimenti di inutilità, colpa, inadeguatezza, difficoltà ad indentificarsi nel ruolo di madre e ad interagire con il bambino, timore di perdere il controllo, sensazione di limitazione della propria libertà, sintomi ossessivi riguardo la paura o l’impulso a fare del male a sè stessa o al neonato.

    Il disturbo mentale, incluso l’abuso di sostanze e la violenza interpersonale, è una delle principali cause di mortalità materna; con un rischio di suicidio nel primo anno postpartum, del 70% superiore al rischio suicidario lifetime delle donne (Oates, 2003).
    Le implicazioni per la madre comprendono inoltre: il calo del funzionamento globale, l’inadeguata dieta in gravidanza o durante l’allattamento, il tabagismo, il ricorso all’alcol o ad altre sostanze di abuso, l’aumento del rischio di sviluppare depressione nelle gravidanze future, nonchè l’impatto negativo sulla relazione madre-bambino.
    Gli atteggiamenti della madre nei confronti del figlio sono molto variabili e possono includere il distacco, l’apatia, l’incuria, la frenesia, l’eccessiva premurosità o la paura di rimanere sole con il neonato.
    Risulta quindi chiaro, come la depressione perinatale possa determinare esiti che si ripercuotono non solo sulla salute mentale della madre, ma anche su quella del nascituro, nel breve e nel lungo termine.
    La depressione durante la gravidanza, quando non trattata, comporta un aumentato rischio di parto pretermine, basso peso alla nascita, ritardo di crescita intrauterina (Grote, 2010), aumento della cortisolemia, accelerazione del battito cardiaco fetale, pre-eclampsia, ridotto flusso ematico placentare (Ross, 2013).
    Nel bambino sono state riportate alterazioni emotive e cognitive (Davalos, 2012) ed un aumentata incidenza di psicopatologia nell’età adulta (Pearson, 2013). Anche la comorbidità con disturbi d’ansia e la presenza di stress psicosociale, influiscono negativamente sulla salute mentale del nascituro (Talge, 2007).

    Gli studi che si focalizzano sulle conseguenze della depressione postpartum, hanno evidenziato che confrontate con madri non depresse, quelle con depressione postpartum risultano meno empatiche e responsive ai richiami del figlio (Laurent, 2012) e presentano caratteristiche neurobiologiche ed emotive diverse. Ci sono dati che mostrano una differenza nell’attivazione dell’amigdala e nella connettività con le strutture corticali dorso-mediali in risposta a volti che rappresentano emozioni negative (Moses-Kolko, 2010). Rispetto invece a donne con depressione non perinatale, altri studi rilevano che in entrambi i gruppi esiste un deficit nel riconoscimento delle emozioni di felicità e paura, ma nelle donne con depressione postnatale, si osservano alterazioni caratteristiche e specifiche che riguardano,ad esempio, il riconoscimento delle espressioni facciali di disgusto e rabbia (Flanagan, 2011). Un possibile meccanismo eziopatopatogenetico, potrebbe riguardare i polimorfismi del recettore per l’ossitocina, un ormone implicato nel legame di attaccamento madre-bambino. Sembra infatti che, non solo i figli di madri depresse sviluppino con più probabilità un disturbo psichico, ma anche che questo effetto sia moderato dall’ossitocina, poiché, in queste famiglie, è più rappresentata una variante allelica del recettore, che si associa a valori ridotti di ossitocina salivare (Apter-Levy, 2013). Per comprendere meglio le implicazioni della depressione cronica o non trattata, basta citare un lavoro in cui è risultato che neonati di sesso femminile, con madri depresse, sono più sensibili alle espressioni negative materne e che tale effetto diventa più significativo nel tempo (Hatzinikolaou, 2010).

    Un ulteriore risvolto, riguarda l’impatto della depressione perinatale sulla relazione con il partner e l’associazione con la depressione paterna (Gawlik, 2013). Il 10% dei padri sviluppa depressione perinatale, con un picco tra il terzo e il sesto mese dopo il parto (Paulson, 2010), i fattori di rischio più significativi risultano l’avere una partner con sintomi depressivi, l’avere una relazione sessuale poco soddisfacente (Wee, 2011) e una difficile interazione padre-bambino (Demontigny, 2013).
    Nonostante l’entità e l’impatto della depressione perinatale sulla donna, sulla prole, sulla famiglia e sulla maternità, si calcola che in circa la metà dei casi, il disturbo venga misconosciuto o non trattato (Bick and Howard 2010). Questo aspetto così preoccupante, è il risultato da un lato, della tendenza a minimizzare o tacere la malattia per senso di colpa, ignoranza o vergogna; dall’altro, dell’inadeguatezza dei programmi di screening, che si traduce in un ritardo nell’attivazione delle cure (Milgrom, 2013). Nonostante siano necessari ulteriori studi epidemiologici, per confermare l’incidenza della depressione nelle diverse fasi del periparto, e quale sia il momento più appropriato per effettuare lo screening, si pensa che l’identificazione dei casi a rischio, vada programmata durante il secondo-terzo trimestre di gravidanza, ovvero quandola gravidanza è più “sicura”. Questo soprattutto alla luce del fatto che il 50% delle donne con depressione postpartum ha sintomi depressivi già in gravidanza(Toohey, 2012), e che il puerperio rappresenta un momento delicato e impegnativo per la madre, che con più difficoltà si rivolgerà ai servizi. Le linee guida del National Centre for Health and Clinical Excellence NICE, raccomandano di ripetere lo screening dopo 4-6 settimane e a 3-4 mesi dal parto (2007). Rispetto alla modalità di screening, lo strumento psicometrico più utilizzato rimane l’ Edinburgh Postnatal Depression Scale, EPDS (Cox, 1987), una scala self report di 10 items, che misura la severità dei sintomi depressivi nell’ultima settimana, con un punteggio che va da 0 a 30; in cui un risultato > 9 indica una depressione “possibile”, mentre con uno score ≥ 12, la depressione è “probabile”. La diagnosi va successivamente confermata attraverso la valutazione clinica.In tutti i casi in cui c’è il sospetto di depressione perinatale, il successo dello screening rimane comunque vincolato al trattamento (Hewitt, 2009). Si deve infine prestare particolare attenzione a quelle donne con pregressa depressione maggiore, che interrompono la terapia antidepressiva prima del concepimento (Misri, 2013); infatti, non solo la gravidanza non risulta protettiva per il disturbo mentale (Di Florio, 2013), ma la percentuale di ricaduta è superiore nelle donne che interrompono il trattamento, rispetto a quelle che lo continuano (Cohen, 2006).


     
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