Ombra nella Nebbia

Era buio. Il luogo in cui si trovava sembrava immerso nel nulla più assoluto. Ancora perso nella sua solitaria ricerca di una pace effimera, corrotto fino al midollo da un’ossessione che sembrava non volerlo abbandonare fino alla fine dei suoi giorni, rendendolo schiavo del suo stesso desiderio. Negli ultimi tempi non un solo miglioramento, anzi, quasi si sentiva debilitato, forse dalla completa estraneità dal mondo in cui si era consapevolmente relegato per ricercare una pace interiore che non riusciva a raggiungere. Queste le parole tetre ed antisonanti pronunciate da una bocca altrettanto ambigua.

Del resto, non è corretto ingannare i propri abitanti con false credenze, distogliendoli dall'ombra costante della guerra; così facendo si favorisce la schiavitù in nome di una pace illusoria, fittizia e non propriamente reale. Essa infatti può essere generata solo dalla guerra; pertanto, coloro che veramente vogliono goderne a lungo, devono essere addestrati e pronti a contrastare ogni sorta di assalto. Perchè come la luce genera essa stessa la tanto temuta oscurità, così la pace genera il conflitto ed il conflitto genera la guerra e la guerra porta alla tanto agognata pace. Quale concetto antitetico.

Avrebbe dovuto attraversare per intero il Paese del Fuoco per poi imbarcarsi per mare, un viaggio lungo ed impervio. Fare ritorno alla sua terra natia tingeva il suo animo d'una nota nostalgica; sulla sua testa pendeva una taglia non indifferente, di quelle che si attribuiscono ad un regicida, chissà se qualche shinobi della Foglia fosse tanto coraggioso o tanto sciocco da frapporsi fra lui ed il suo obiettivo. Quale che fosse la distanza da percorrere, quale che fosse il luogo da raggiungere, avrebbe affrontato il viaggio con la solita calma e la tranquillità che da sempre contraddistinguevano la sua persona.

Mentre pian piano la giornata assumeva sempre più un ritmo lento e cadenzato il morale di quell'uomo andava calando in maniera oltremodo celere. Il vedere le care lande altrui che lo circondavano, dapprima piene di vita, cominciare a deteriorarsi lentamente, abbandonate a loro stesse, lo lasciava attonito. Persino l'aria che lo circondava era diventata un prezzo da pagare, un veleno che ben presto avrebbe espiato ogni sua colpa. Non vi erano più a correre per quelle foreste dei giovani affannati, o degli adulti esperti alla ricerca di pesci grossi del crimine. Oramai erano solo culla dei massi e delle piante dipinte da un Dio nei modi più vari. Le memorie che portava con sè lo vedevano al fianco dei suoi compagni, ma questi andavano svanendo in un soffio come il fumo.

Quanti ricordi..

Rimaneva solo lui al centro di quell'allegro quadretto che con altri occhi, magari da persona comune, avrebbe sicuramente saputo apprezzare maggiormente. Continuò ad osservare il vespro tinto da mille colori: l'arancio sullo sfondo andava a prendere, man mano che si avvicinava, delle pennellate di sfumature che andavano dal violaceo al blu scuro. Le candide nuvole bianche, invece, apparivano quasi come un contrasto. La loro forma era lunga ed ondulata, come delle venature che solcavano il firmamento sino al lontano orizzonte. Era un paesaggio dalla mirabile bellezza quello che gli si parava davanti allo sguardo. Quest'ultimo smorto, malinconico. Non era felice di quello che era diventato ma qualcuno doveva pur trasportarne il gravoso fardello. In quelle grandi pupille nere ci si poteva quasi specchiare, o persino vedere dentro, se muniti di un pizzico di sensibilità. La sua sagoma longilinea si poggiava in quell'istante su una piccola rocca impavida, sotto la quale era battuto un sentiero di piccole dimensioni, circondato da pochi ciottoli di pietra misti a grandi massi. Ogni tanto abbassava l'occhio che si perdeva nel seguire i movimenti repentini dei piccoli insetti che, felici, solcavano le incastonature delle pietre. Pensava a come la natura fosse stata generosa nel servire quelle terre e come gli uomini fossero stupidi a non godere di cotanta magnificenza. Si soffermò poi nuovamente sul cielo, quando improvvisamente sentì un gracchiare a lui famigliare e poi delle zampette artigliate poggiarsi sulla sua spalla. Annuì e comprese.

È ora che sia abbattuto il muro di testo..

Sentenziò, dettando un volere pragmatico ed empirico. Avrebbe preso il largo a bordo di una delle tante imbarcazioni mercantili della regione del Fuoco, per poi attraversare il mare stretto e mettere dunque piede nei territori del Paese dell'Acqua. Dalla prua della nave, Itachi contemplava il Creato rimanendo impassibile, come una statua di cera il cui volto pareva sconvolto dalla violenza del tempo. Numerose crepe ne solcavano guance e collo, spingendosi addirittura verso la fronte. La sua figura era ora cinta da una lunga tunica nera ed un ampio cappello di paglia ne decorava la testa, tenendo lontani gli occhi indiscreti; non indossava un coprifronte nè tantomeno capi di abbigliamento che potessero tradire il suo anonimato. Si lasciò infine trasportare dalla malinconia.

Passi lievi i suoi, solcavano candidi il manto erboso sotto i suoi piedi, piegato solo dalla forza esercitata dal vento. Un andamento non troppo veloce nè troppo lento caratterizzava il suo movimento. Quel dì, il clima umido del Paese dell'Acqua era caratterizzato da una timida pioggia, minuscole gocce d'acqua cadenzavano l'Uchiha e tutto ciò che lo circondava, in una leggera seppur piacevole sensazione di freschezza.

Ci siamo quasi..

Se c'è qualcosa che persino l'uomo più potente del mondo non è in grado di controllare, questa cosa è proprio il tempo. È effimero, implacabile e malvagio. In realtà la percezione che abbiamo dello scorrere del tempo è una questione alquanto soggettiva. Ma non è ovviamente il tempo a scorrere in maniera diversa, è l’uso che ne facciamo noi tutti a variare. "Non è vero che abbiamo poco tempo: la verità è che ne perdiamo molto." Disse il saggio filosofo. Mai frase è stata più sensata di questa per spiegare come si svolgono le giornate all'interno di una società che ci vuole sempre di corsa, sempre indaffarati, sempre impegnati a fare qualcosa. Poco importa se quello che eseguiamo quotidianamente è ciò di cui abbiamo realmente bisogno o ci affanniamo in faccende assolutamente superflue, per le quali sprechiamo non solo tempo prezioso ma anche forze ed energie. Risorse che potremmo catalizzare in altre attività migliori. L'uomo è sempre propenso a rimandare proprio quello che di più importante vorrebbe si realizzasse, forse per una mania di perfezionismo, perché non è mai soddisfatto del risultato o ha paura di tentare e fallire.

Ora sta a te, amico mio..

Il corvo cominciò a sbattere le ali prendendo quota, per poi prendere il volo ed errare in lungo ed in largo sopra le vaste foreste di quell'inospitale regione. Non era ben chiara la sua posizione, la fitta nebbia che circondava quei luoghi avrebbe dato filo da torcere persino al più navigato fra gli esploratori, tanto valeva rimanere fermi a riposare ed aspettare un poco sotto l'acquerugiola di quella giornata.

Per sua fortuna, il tedio dell'attesa non fu sufficiente da ammorbarlo, quando finalmente un gracchiare distante segnava l'arrivo di un punto di svolta. Allungò la mano verso l'alto, estendendo le dita indice e medio a mo' di trespolo, sino a favorire un saldo punto d'appoggio affinché Yatagarasu vi ci si potesse appollaiare sopra, per poi spostarsi zampettando poco a poco fin su la spalla destra dell'Uchiha suo compagno.

Cra Cra

Versi apparentemente privi di significato ma che portavano con sè un itinerario da percorrere. Un appuntamento fatidico, il suo, che forse nell'illusione dell'eterno rimandare aveva trascurato troppo a lungo, ma la cui data si faceva adesso sempre più vicina. L'Uchiha percorreva strade non battute e lontane da sguardi indiscreti, avanzando passo dopo passo verso la sua meta utima, dimostrando anche un certo ardore.

Spero vi siano individui dotati di raziocinio..

La notte sibilava versi sconosciuti in un mese che volgeva al tramonto dei suoi giorni, parole di fiele, mortifere le sue. Infine eccola, Kirigakure no Sato. Il Villaggio si ergeva entro la convergenza di due catene montuose, a ridosso di un'ampia vallata; l'architettura era caratterizzata da empie costruzioni cilindriche, spesso decorate da manti erbosi. Un luogo austero, aspro ed inospitale, proprio come i suoi abitanti.